La pizza di Pasqua, dalla Tuscia alla Maremma

Per secoli le donne si sono riunite nella lunga e laboriosa preparazione che ancora oggi qualcuna porta avanti. Da Civitavecchia a Viterbo, la Pizza di Pasqua presente nei testi antichi, grazie anche al conte Fani. Approfondiamo.

Non esiste tavola pasquale senza la sua presenza, che sia dolce o salata è l’immancabile simbolo culinario dell’Italia centrale nei giorni di festa. Ore e ore di lievitazione (anche notturna) che per anni ha avuto protagoniste le donne delle comunità rurali del viterbese, riunite la sera del giovedì o venerdì Santo nella lunga e laboriosa preparazione. Dopo l’impasto, fatto oltre che con uova, farina e zucchero, con personalissimi e segreti aromi, “pozioni” comprate in farmacia o drogheria, le pizze passavano alla lievitazione dentro ai letti riscaldati con il prete (una slitta di legno e lamiera) contenente la brace del camino o nelle madie, ben coperte e “sorvegliate a vista”, poi portate a cuocere nel forno del paese, per essere pronte la Domenica di Pasqua, una volta terminato il periodo di digiuno e di astinenza dettato dalla quaresima.

Prodotto originario dell’Italia centrale e soprattutto più conosciuta nella versione salata, insaporita dal formaggio, famosa è quella realizzata a Terni. Non solo l’entroterra viterbese, ma anche Civitavecchia vanta la sua tradizionale pizza di pasqua come ha ricostruito lo storico della gastronomia Enrico Ciancarini.

 

“Recentemente mi è stata chiesta la data di nascita della pizza di Pasqua, una delle specialità gastronomiche cittadine più amate da noi Civitavecchiesi, ingrediente insostituibile quando si imbandisce la tavola dell’identità della nostra Comunità. Lo ricordano i bellissimi versi di Igino Alunni, che ho citato nel titolo di questo breve saggio, che però non aiutano a dipanare il mistero delle sue origini.

La prima è del 1872, nei primi anni postunitari. Il romano La Frusta, giornale politico morale pubblicava nel numero del 31 marzo 1872 un sonetto in dialetto romano in cui Civitavecchia e la sua pizza erano citate due volte.

L’Illustrazione italiana nel numero del 7 gennaio 1883 pubblicava l’articolo Il Natale in Roma a firma di Don Pirlone in cui si descrive la cena di vigilia dei romani che iniziava “d’ordinario con gli spaghetti, intrugliati di noci e mandorle e acciughe trite e ritrite” per chiudere “con la Pizza di Civitavecchia, una delle infinite varietà del tipo panettone.

Manfredi Porena, illustre storico della Letteratura italiana e noto dantista il volume autobiografico Roma capitale nel decennio della sua adolescenza, ricordava che a Roma negli ultimi decenni dell’Ottocento “per Pasqua si faceva la pizza dolce, cioè una semplice torta di farina, uovo e zucchero, ben lievitata, ricoperta d’uno strato zuccherino come quello dei pangialli eleganti; ma era diffuso anche l’uso della eccellente Pizza di Civitavecchia più rozza, meno dolce, senza coperta zuccherina, ma d’un sapore sui generis gustosissimo, dato da cannella ed essenza di arancio”

La consacrazione ufficiale del primato nazionale del dolce civitavecchiese arriva dallo Stato italiano, che lo certifica con la Circolare n. 1-152, in data 11 gennaio 1909 e pubblicata sul Bollettino del Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio.

Se nel XIX secolo e nei primi decenni del successivo, la pizza di Pasqua civitavecchiese registrava un così alto gradimento, tanto da essere attestata come assidua presenza sulle tavole dei romani ed inserita nel catalogo dei dolci italiani più noti, dobbiamo presumere che le sue origini affondino addirittura nel XVI o XVII secolo.

Notizie certe le abbiamo per il Settecento. In quel secolo a Civitavecchia non scarseggiavano le materie prime alimentari. Lo scalo cittadino forniva a Roma buona parte del grano necessario ai suoi consumi, i bastimenti che giungevano in darsena da paesi europei o extraeuropei, trasportavano spezie e generi coloniali d’ogni genere utilizzati anche nella produzione dolciaria”.

Il legame “dolciario” tra Viterbo e Civitavecchia

“Mario Fani: antenato dei conti Fani di Viterbo, era appaltatore lodato dei forni in Civitavecchia, cui successe Francesco della stessa famiglia. Fani produceva il grano e gestiva l’appalto dei forni di Civitavecchia che fornivano principalmente il pane e il biscotto alla flotta pontificia. originario di Tuscania, era nato nel 1530 circa e morì nel 1603, fu imprenditore agricolo, mercante e banchiere.

Mario Fani era uomo della Tuscia, la sua ricchezza nasceva dal grano e dalla sua lavorazione. Nei suoi forni civitavecchiesi poteva impiegare manovalanza d’origine viterbese o di altri luoghi della Tuscia. Oltre al segreto del buon pane, questi “fornari” possono aver trasmesso ai Civitavecchiesi (e soprattutto alle donne civitavecchiesi) la tradizione della pizza dolce pasquale che le fonti storiche di Viterbo assicurano di antichissima origine”.

E proprio qualche giorno fa la Confraternita dell’antica zuppa di pesce civitavecchiese e delle tradizioni gastronomiche cittadine ha organizzato un assaggio/confronto fra la pizza di Pasqua di Bagnaia (località vicino Viterbo) e quella di Civitavecchia. Entrambe buonissime, molto simili nella loro diversità. Alcuni ingredienti li hanno in comune, altri sono propri: la buccia d’arancia grattugiata, l’anice, la cannella, il liquore, donano ad ognuna il loro sapore tipico. Una più leggera, l’altra più dolce, entrambe ottime con salumi e cioccolata. In quella civitavecchiese è presente la ricotta di pecora, ulteriore testimonianza gastronomica del solido legame che esisteva fra il nostro porto e le greggi umbre e marchigiane che venivano a svernare nella maremma laziale, fra Montalto e Santa Marinella”, conclude Ciancarini.